2 giugno 2013

Con OccupyGezi si decide il futuro della Turchia...e delle primavere arabe.

Filippo Barbagli

"Primavera turca".
Già in molti tendono ad associare le manifestazioni che in questi ultimi 4 giorni si sono diffuse a macchia d'olio nelle maggiori città turche a quelle che due anni fa spazzarono via vecchi sultani, da Tripoli a Sa'ana. 
E sinceramente non so se spaventarmi, visto l'esito, ancora controverso, che la primavera araba ha avuto in Egitto o con la guerra civile in Siria, di cui ci stiamo limitando a contare i morti e parlare delle atrocità come chiacchiere da bar, senza intervenire.



Ma il caso turco è ben diverso. Tutti infatti siamo rimasti stupiti di come la risposta così violenta della polizia sia avvenuta in un paese che tutti considerano, etichetta odiosa da dodici anni a questa parte, "democratico", quasi occidentale. Per alcuni, un paese europeo, od almeno la città dove tutto è nato e che rimane il centro degli scontri anche in questi momenti, Istanbul.

Già, Istanbul. Chi ha avuto modo di visitare questa città pazzesca, l'unica al mondo sparsa su due continenti, non potrà che stupirsi sentendo le cronache parlare del quartiere di Beyoğlu e di piazza Taksim: si tratta infatti del distretto più "europeo" di Istanbul, nato intorno alla zona storica del Galata (in turco, Galatasaray), sede secoli fa dei mercati europei a Costantinopoli. 
Una protesta nata dai giovani contro una decisione del governo centrale, di quella Ankara che "contro natura" ha rubato lo status di capitale a Istanbul quando è nata la Turchia moderna e laica. Ma questa volta le parti si sono invertite, il cleavage tra Turchia secolare ed islamista vede su fronti opposti i giovani turchi (non quelli con la maiuscula che si studiano a scuola!) ed il governo dell'Akp di Recep Tayyip Erdogan, d'ispirazione -appunto- fortemente religiosa.

Tutto è nato quando il governo ha annunciato di voler costruire un centro commerciale ed una moschea al posto del Gezi Park, a detta degli abitanti di Istanbul, uno degli ultimi spazi verdi rimasti nella megalopoli di 12 milioni di abitanti. Decisione controversa, a maggior ragione quando la moschea progettata si troverebbe in posizione panoramica: un monito, un lascito di Erdogan che si appresta alle prossime elezioni. Nonostante la sentenza emessa dalla sesta corte amministrativa della città, che aveva bloccato i lavori di abbattimento degli alberi, e l'occupazione pacifica del parco da parte di alcuni studenti e gruppi ecologisti iniziata quasi una settimana fa, la polizia nella notte tra il 30 ed il 31 maggio ha attaccato violentemente e con gas lacrimogeni scaduti (testimonianze fotografiche su Twitter) i manifestanti. Erdogan ha detto che sarebbero andati avanti senza guardare in faccia a nessuno.

E qui Erdogan, politico arrogante ma acuto, ha dato dimostrazione di aver fatto un autogol clamoroso. Nel giro di poche ore, grazie ai social network, soprattutto Twitter (definito, guarda caso, un "pericolo" dal premier), migliaia di persone sono scese in piazza protestando contro la forza bruta della polizia. La risposta delle forze dell'ordine non si è fatta attendere, così in tutto l'etere ed in tutto il mondo si sono diffuse immagini di giovani colpiti da getti di gas ed idranti, con foto dalla Tienameniana memoria. In quei giorni, il quartiere più turistico di Istanbul si è trasformato in un campo di battaglia con barricate, feriti (secondo Amnesty, 2 morti) e proteste. E' stato un messaggio molto forte: basti pensare a Istikal Caddesi, la "via buona" della città, dove si trovano consolati, il liceo di Galatasaray, negozi di moda ed istituti culturali. L'arteria urbana che collega il Corno d'Oro con piazza Taksim, quella principale di Istanbul....quasi una nuova piazza Tahrir. 

Manifestazioni di protesta sono sorte in tutta la Turchia, ed anche all'estero, al grido, o meglio, grazie all'hastag #direngezi, la traduzione turca di #occupygezi. Mentre i principali media del paese non davano notizie degli avvenimenti che stavano accendendo, le manifestazioni hanno assunto proporzioni epiche. Come l'occupazione del ponte sul Bosforo, centro nevralgico degli scambi intercontinentali e del traffico cittadino. Inoltre, la popolazione cittadina sembra aver garantito il pieno appoggio ai manifestanti: gli abitanti del quartiere lasciavano sulle finestre alimenti ed acqua per i manifestanti, offrendo anche le password di internet poiché il governo aveva bloccato gli accessi 3G, alcuni negozianti hanno offerto riparo dalla polizia, gli studenti dell'università hanno preparato le soluzioni chimiche contro il gas lacrimogeno e pure i liceali del Galatasaray hanno aiutato i manifestanti su Istikal Caddesi. Così la polizia ieri sera si è ritirata e stanotte i manifestanti hanno ripulito con catene umane il parco. 

La situazione è ancora in evoluzione. E di sicuro una sempre crescente copertura mediatica internazionale non favorisce l'agire di Erdogan. Centro nevralgico della protesta rimane la piazza Taksim, occupata anche oggi ai canti di "bella ciao", dove anche in questo momento la polizia ha ripreso l'offensiva con i gas e le manganellate, mentre su Twitter gira l'inquietante voce di manifestanti ripetutamente falciati ad Ankara. 
Per ora, poche voci internazionali si sono levate contro Erdogan. La Turchia infatti sta appoggiando i ribelli siriani contro Assad e giocherà un ruolo fondamentale allorché si deciderà di intervenire militarmente, qualora il rais di Damasco non si ritiri pacificamente dopo la Conferenza di Ginevra appena iniziata.
Comunque, per monitorare la situazione in tempo reale, consiglio di rimanere collegati con Twitter con l'hastag #occupygezi.

Un'immagine che mi ha colpito è stata quella di alcuni militari che offrivano aiuto ai civili. Mi è sembrata emblematica e rispecchiante la situazione attuale in Turchia. Perché #occupygezi non è più una semplice e giusta protesta ecologista contro la cementificazione selvaggia e commerciale,  ma è diventata la protesta di una parte della popolazione turca contro le tendenze di matrice islamista del governo di Erdogan. Al governo da dieci anni, spesso lodato per essere la faccia della "nuova", media potenza in super crescita economica, islamica ma democratica e moderata, il primo ministro ha impresso al suo governo una tendenza più inquietante negli ultimi anni. Bisogna comunque partire dalla considerazione che -se proprio vogliamo entrare nel discorso odioso delle democrazie- il 99% della popolazione turca si dichiara musulmana e l'Akp ha un forte appoggio popolare. Tuttavia Erdogan, forte dei risultati portati dalla sua politica estera neottomana nei Balcani, in Medio Oriente ed in Nord Africa con le primavere arabe -cioè quello di offrire un modello di democrazia islamica moderata e forse laica-, incassata poi la tregua con il PKK, si è lasciato andare verso uscite come restrizioni e penalizzazioni dell'aborto ed il divieto di vendita di alcolici nelle ore notturne. Ed infatti la notte scorsa Istanbul è stata invasa da caroselli di giovani con birre ed altri alcoli, in segno di protesta. Un altro progetto controverso è quello della costruzione del terzo ponte su Bosforo, mentre la possibilità di realizzazione di un ulteriore -mastodontico- canale tra il Mar Nero ed il Mare di Marmara resta assai concreta.

Sin dalla sua nascita, nel 1923 sulle ceneri dell'Impero Ottomano, la Turchia ha vissuto in una profonda tensione tra coloro che l'hanno modernizzata e laicizzata, gli eredi del dittatore Kemal "Padre dei Turchi" Ataturk, e coloro che hanno tentato di dargli un'impostazione più islamica, sulla scia della tradizione del Califfato. Paladini della Turchia secolare sono stati per eccellenza i militari (andate a visitare il mausoleo di Ataturk ad Ankara per averne un'idea), che sono intervenuti pesantemente e più volte nella vita politica per evitare "derive islamiste". L'ultima, con l'imposizione della Costituzione del 1982. 
Erdogan ha quindi avuto sempre questa spada di Damocle, che può evitare solo grazie ad un forte consenso popolare ed una crescita economica vertiginosa. 

La Turchia dunque negli ultimi anni si è "riscoperta" meno occidentale e più islamica. Le cause? Sono molteplici: la stupida divisione del mondo secondo le linee di demarcazione dello pseudo scontro di civiltà, l'ancora più stupido rifiuto dell'Unione Europea di accettare l'ingresso del paese -che comunque è già membro del Consiglio d'Europa (e della UEFA)-, la dialettica "neo-ottomana" d'ispirazione nazionalista che si è diffusa nella vita politica del paese che gioca un ruolo sempre più importante nell'area del Medio Oriente e via dicendo. Ma è un processo che investe totalmente una società abituata a vedere donne in burqa e belle ragazze scollate sullo stesso tram, in cui in TV danno fiction sui sultani e talent shows all'occidentale. Ed è un processo che si sta radicalizzando, come dimostrano gli eventi di questi giorni.
Non è neanche una protesta di Istanbul contro Ankara, perché le rivolte si sono diffuse in tutto il paese.

Sono giovani che protestano contro un governo che sembra voler instaurare sì uno stato di polizia, ma in primis è un governo di chiara ispirazione islamica. Finché questo non ha toccato la libertà di agire dei settori "secolarizzati" della società, non ci sono stati problemi, ma ora il gioco si fa più duro. Vuoi per la ricerca del consenso, vuoi per l'abbandono della maschera "laica" per poter entrare nell'Europa, i fatti di #occupygezi assumeranno un valore in futuro assai importante. Il risultato della partita sarà in primis un esempio: magari, una nuova forza a quei giovani delusi dalla primavera araba, come i manifestanti anti Morsi in Egitto. Una dimostrazione della maturità della democrazia turca contro derive autoritarie. Oppure sarà un fallimento: una pericolosa conferma a chi sostiene che certe idee religiose non sono conciliabili con la democrazia, un monito  all'Europa miope e paurosa, che ha perso l'occasione d'oro di aumentare la sua forza internazionale e la sua proiezione nel Medio Oriente, infine un'altra dimostrazione che la crescita economica non favorisce necessariamente la democrazia. 
E pensare che è nato tutto per salvare qualche qualche albero.


La Turchia è Europa? Dalla questione della laicità al caso Ergenekon, un articolo scritto due anni fa: